giovedì 4 settembre 2014

Eterologa, ma chi tutela il bambino?

 04/09/2014  Le linee guida approvate giovedì dalla Conferenza delle Regioni non solo non tutelano il nascituro, la parte più debole di una partita dove gli interessi economici sono altissimi, ma rischiano di rivelarsi un favore ai centri privati che potranno partire sostanzialmente senza regole

di  Antonio Sanfrancesco

Lungi dal fugare ogni dubbio sull’eventualità che si scateni un vero e proprio business, leggendo il documento che contiene le linee guida sulla fecondazione eterologa – approvate giovedì mattina all’unanimità dalla Conferenza delle Regioni – si aprono in realtà nuovi,preoccupanti interrogativi che dimostrano, ancora una volta, come la via maestra per regolare questa materia delicatissima, dopo la sciagurata sentenza della Corte Costituzionale dello scorso aprile che ha ribaltato la legge 40, è quella di una legge discussa e votata dal Parlamento, come ha più volte sostenuto anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin.
Temi cruciali come questi non possono essere lasciati alla decisione di tecnici e assessori alla Sanità o a un accordo, giuridicamente fragilissimo, tra i presidenti delle Regioni. L’accelerazione di queste ore impressa dalle stesse Regioni non tiene conto dell’interesse esclusivo del nascituro, la parte più debole di una partita dove gli interessi, a cominciare da quelli economici, sono tanti e ben veicolati dalle varie lobby che vogliono meno regole possibili e fare tutto in fretta.


I rischi per la salute per chi "dona" i gameti e la possibilità del business

Spulciando il documento, dicevamo, le perplessità aumentano. Quando si parla delle donatrici di gameti femminili, ad esempio, si premette che: «La donazione degli ovociti richiede stimolazione ovarica con monitoraggio e recupero degli ovociti. Comporta quindi, a differenza della donazione di gameti maschili, considerevoli disagio e rischi per la donatrice». Poi ecco il consiglio: «È fortemente raccomandato per la donatrice degli ovociti e per il suo partner (se esistente) una valutazione e consulenza psicologica fornita da un professionista». Tutte le donatrici di ovociti, precisa ancora il documento, «devono essere informate esplicitamente dei rischi e degli effetti collaterali annessi alla stimolazione ovarica e recupero degli ovociti; questa consulenza deve essere documentata nel consenso medico informato». Poi si sottolinea che la donazione è un «atto volontario, altruista, gratuito» e che «non potrà esistere una retribuzione economica» anche se «non si escludono forme di incentivazione». Di che tipo non si sa.

Domanda: perché una donna dovrebbe sottoporsi gratuitamente (o una qualche “incentivazione”) ad una pratica così invasiva e rischiosa per il proprio corpo qual è quella della stimolazione ovarica? Non c’è il rischio che dietro la presunta gratuità o il paravento del rimborso spese nasca e si sviluppi un vero e proprio mercato e magari lo sfruttamento di donne costrette alla “donazione” dalla propria povertà?

E sul piano psicologico che conseguenze avrebbe, all’interno della relazione di coppia, l’eventuale decisione di uno dei due partner di donare i propri gameti per il solo «“bene della salute riproduttiva” di un’altra coppia», come recita il documento?

Il rebus dei costi

 
Poi una certa mentalità eugenetica fa capolino allorché si legge che «Non esiste un metodo per garantire in maniera assoluta che nessun agente infettivo possa essere  trasmesso attraverso la donazione di ovociti. Comunque le seguenti linee guida, combinate con un adeguata anamnesi e l’esclusione di soggetti ad alto rischio per HIV e altre malattie sessualmente trasmissibili, possono significativamente ridurre tali rischi». Segue un lungo elenco di esami a cui l’aspirante donatrice dovrà sottoporsi per poter essere ammessa a donare.

Un altro aspetto poco chiaro sono i costi a carico del Servizio sanitario nazionale.
Sarà gratuito per le donne che non superano i 43 anni di età mentre tutte le altre, se vorranno iniziare la pratica, dovranno mettere mano al portafogli. Domanda: ma se, come dice la Consulta, avere un figlio è un diritto «incoercibile» perché lo Stato non dovrebbe impegnarsi a garantirlo, al minor costo possibile con il pagamento del ticket o addirittura gratis, a tutti?

E siccome una procedura di fecondazione eterologa ha costi enormi, che vanno dalle indagini di screening per la selezione dei donatori al test del seme, dall'eventuale rimborso per le giornate di lavoro perdute dei donatori al costo dei farmaci per l'induzione all'ovulazione, il Servizio sanitario nazionale è in grado di sostenere, in tutto o in parte, tutti questi costi?

Conoscere il donatore è un diritto del bambino nato da eterologa

Poi c’è la questione della possibilità del nato di chiedere, dopo i 25 anni di età, di conoscere l’identità del donatore se questi è d’accordo. L’accordo raggiunto dalle regioni non affronta questo problema, forse perché si è consapevoli della difficoltà di farlo e del fatto che, ancora una volta, tocca a una legge normare questo aspetto.

È evidente che, se si vogliono tutelare i figli dell’eterologa, occorre fare una legge che riconosca loro il diritto di conoscere le proprie origini genetiche sia per un motivo psicologico che per un motivo strettamente medico. Solo conoscendo i propri genitori genetici, infatti, il bambino potrà conoscere le patologie o i rischi di contagio di alcune patologie genetiche.

Senza dimenticare che, come dimostrato da diversi studi psicologici, i bambini nati da eterologa, esattamente come quelli adottati, una volta divenuti adulti hanno il desiderio fortissimo di risalire alle loro origini e conoscere chi li ha generati.   Ecco perché l’accordo nella Conferenza delle regioni non basta e senza un tempestivo intervento del Parlamento rischia di rivelarsi un grosso assist ai centri privati che in questo modo potranno partire in una situazione di sostanziale deregulation. A farne le spese, come sempre, è soggetto debole, cioè il figlio. 

Fonte: famigliacristiana.it

 

 

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