martedì 3 giugno 2014

Quei «cuori coraggiosi» in volo oltre la disabilità


​Artisti disabili arrivati da tutto il mondo a Carpi per la
16esima rassegna internazionale delle abilità differenti
La  tempesta perfetta. Tutto insieme: colori e nero e bianco, imperfezioni e maestrie, musica da doversi alzare e ballare, nord e sud d’Italia e mezzo mondo, sciabolate di luci, risate e lacrime (di emozione), danza, recitazione, cinema, platee stracolme e mani spellate d’applausi. Palcoscenico del teatro di Carpi, la domanda è per Sofia, veronese, ballerina, costume ocra e rosso di scena, che si è appena esibita: «Si vola anche costretta a restare seduta lì?». Lei: «Sì. Se hai la volontà, nessuna carrozzella può impedirti di farlo».

Incontro, confronto, competizione: è la festa di questo Festival internazionale delle abilità differenti. Con il titolo di questa sedicesima edizione, come sempre organizzata dalla cooperativa sociale Nazareno di Carpi (provincia di Modena), che la racconta lunga: «Cuori coraggiosi». E forti. I Rudely interrupted sono una rock band australiana esibitasi in tutto il mondo, anche alle Nazioni Unite. Sono di quelli che quando si mettono a suonare non c’è verso di starsene fermi sulla poltroncina. Il loro motto è «Chi pensa che siamo pazzi, non è capace di sentire la musica». Il batterista è Joshua Hogan. Fatica a muovere le braccia tanto da essergli difficile stringerti la mano, poi si siede, impugna le bacchette e nella serata al teatro di Modena picchia tanto bene su tamburi, rullante e piatti che ti chiedi come possa mentre ti stropicci gli occhi. Sam, il loro frontman, balla in scena e a un certo punto sfoggia guanti, cappello e passi da Michael Jackson, poi mantello e maschera da wrestler e poi ancora diversi travestimenti, oltre alla sua sindrome di Down.

Un mago. Un trascinatore che scende in platea muovendosi  a tempo di musica. «In questi giorni si è visto come, mettendosi tutti insieme per uno scopo comune, si possano fare cose grandi – dice Sergio Zini, che presiede la Nazareno –. Questo è un insegnamento che ci portiamo a casa, nella nostra vita quotidiana e anche nel lavoro che cerchiamo di fare nella società». Ancora i Rudely interrupted: «Siamo felicissimi di questa esperienza e la porteremo per sempre con noi – racconta il manager (e chitarrista), Rohan Brooks –. Qui ci siamo trovati come a casa e ci siamo sentiti molto apprezzati per la nostra musica, siamo molto orgogliosi di essere stati qui».

Lou Boland è sedicenne dolcissimo cantautore belga, che qui ha cantato e raccolto applausi a scena aperta. Ha una rara displasia congenita (la sindrome di Morsier) e sua mamma e suo papà lo amano e accompagnano: «Vive fuori dalla realtà – spiegano – in un mondo suo, fatto di emozioni, non è in grado di conseguenza di gestire le sue paure». Che però svaniscono quando siede al pianoforte per tirarne fuori note e suggestioni.
Anche dietro le quinte, prima degli spettacoli – e durante – l’altra tempesta perfetta.

Cambi di costumi in fretta e furia, tensione a mille (condita da qualche lacrima), emozione che monta, gente che ripassa le battute, che sistema le scarpette, che s’incrocia lungo i corridoi dei camerini, carrozzelle quasi da saltare e via sempre così. Mentre, sul palcoscenico, di tanto in tanto si vede spuntare una figura femminile minuta, spesso accovacciata, furtiva, anzi spunta più che altro la sua macchina fotografica. Letizia Morini. Ventidue anni e il compito di raccontare le immagini del Festival. Lavora in un asilo nido e scatta anche lì in continuazione «perché i posti sono bellissimi». Gli incassi della sua prima mostra hanno sostenuto la Fondazione dedicata a Jérome Lejeune, scopritore della sindrome di Down: «Un medico che curava le persone come me», dice Letizia. E chi pensa che da grande voglia fare la fotografa, prende una cantonata: «No! L’attrice!». E poi – dopo gli appuntamenti a Bologna, Modena, Correggio – nel teatro di Carpi avrebbero ballato anche gli stessi Beatles, quella sera, quando è toccato a 'I sognatori', band arrivata da Atripalda nell’Avellinese (che ha vinto la sezione Musica). E sulle note di
Hey Jude, la gente in platea, nei palchetti, nel loggione si alza in piedi, si muove a tempo con la musica scandita battendo le mani, fra stucchi preziosi e poltrone di velluto. Continuando la festa che è il Festival...

Pino Ciociola
Fonte: avvenire.it

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