venerdì 21 marzo 2014

Quando la sindrome di Down buca lo schermo




Con la primavera torna la giornata mondiale delle persone down e mi trovo a riflettere sulle belle campagne di comunicazione realizzate per l’occasione. Qual è la magia di questi ragazzi? Perché i loro video sono i più virali e le loro campagne hanno sempre grande successo? Fino a pochi decenni fa li chiamavamo “mongoloidi”, oggi bucano lo schermo meglio di tanti personaggi famosi. Perché?
Una buona parte del merito, mi dico, va sicuramente alle loro associazioni, che dimostrano di avere coraggio, intelligenza e un bel po’ di contatti giusti. E non dimentichiamo le agenzie pubblicitarie, che sanno produrre filmati emozionanti e scrivere storie che fanno riflettere. Ma non è tutto qui. C’è dell’altro. Qualcosa di più profondo.
  Prendiamo ad esempio le campagne di Coordown, l’organizzazione nata in Italia nel 2003 per fare da coordinamento di tutte le associazioni (oggi sono 72) che si occupano di persone con trisomia 21.  Sono tre anni che insieme all’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi stupisce il mondo con iniziative bellissime. Quest’anno è la volta di “Dear future mom”, un filmato in cui otto ragazzi, provenienti da otto diversi Paesi, si rivolgono ad una futura mamma, una donna impaurita perché è venuta a sapere che suo figlio sarà affetto da quella sindrome.
“Non devi avere paura – è il senso di quello che i ragazzi dicono alla quasi-mamma – perché noi possiamo avere una vita bellissima, nonostante la malattia. Possiamo essere felici, andare a scuola, lavorare, fare sport, avere amici. Anche noi avremo momenti difficili, molto difficili, ma alla fine, nonostante tutto, ti accorgerai che è valsa la pena di metterci al mondo e sarai felice anche tu”.  Leggo che ad una settimana esatta dal lancio, il video, diretto dal regista Luca Lucini, è stato visto su Youtube da un milione seicento mila persone. Su twitter #dearfuturemom è da due giorni la campagna più condivisa al mondo e ne stanno parlando i principali media internazionali, come Abc, Huffington Post Usa, Daily Mail, Le Figarò, Rtl.
“Abbiamo cominciato a lavorarci alla fine dello scorso anno – mi spiega Federico De Cesare Viola, responsabile della comunicazione di Coordown – lo spunto ce l’ha dato proprio la mail che ci ha scritto una donna incinta, spaventata dopo aver ritirato le analisi. Ci chiedeva: che tipo di vita potrà avere mio figlio?  Abbiamo deciso che a rispondere fossero gli stessi ragazzi affetti da sindrome di Down. Abbiamo contattato e coinvolto otto associazioni in tutto il mondo (Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, Croazia, Russia, Usa e Nuova Zelanda, ndr), redatto lo script,  identificato gli attori e fissato la data delle riprese”. Il video è stato girato a Milano, nello scorso febbraio, con attori  provenienti da diversi Paesi europei.  “Un’esperienza bellissima – racconta Luca Lorenzini, direttore creativo di Saatchi & Saatchi, che insieme all’art director Luca Pannese lavora da tre anni, pro-bono, per l’associazione  – gli attori dei nostri filmati sono come quelli normodotati, c’è quello simpatico e quello meno. Ricordo il ragazzo francese, timidissimo, che  aveva imparato la parte a memoria e davanti alla telecamera è stato fenomenale”.
S  copro che negli anni passati la stessa squadra aveva lavorato ad altre due campagne di grande successo. La prima, del 2012, dedicata all’integrazione, aveva coinvolto importanti marchi già clienti dell’agenzia, che avevano accettato di rimettere mano ai loro film sostituendo, per un giorno,  uno degli attori protagonisti con una persona Down.  Così, il 21 marzo di due anni fa, sono stati messi in onda gli spot speciali di Illy, Averna, CartaSi, Toyota e Pampers e stampate le campagne stampa di Enel e Carrefour.  Qualche mese dopo, a Cannes, l’agenzia è stata premiata con ben sette Leoni d’oro al Festival della pubblicità di Cannes.
L’anno dopo è stata la volta della campagna #dammipiùvoce , in cui 50 ragazzi italiani hanno registrato un breve video durante il quale hanno chiesto ai loro idoli di dedicare loro un filmato, per aiutarli a raggiungere più gente possibile. Un altro grande successo. Tra i 50 vip che hanno aderito  Francesco Totti, Javier Zanetti, Antonio Cassano, Giorgio Chiellini, Josè Mourinho, Federica Pellegrini, Martin Castrogiovanni, Fiorello, Maria De Filippi, Pierfrancesco Favino, Diego Abbatantuono, Filippo Timi, Claudio Santamaria, Fabio Volo, Tiziano Ferro, Carlo Cracco, Chiara Galiazzo, Jovanotti e perfino Sharon Stone (su Invisibili ne avevamo parlato così).
Ma il successo mediatico delle persone con sindrome di Down non si esaurisce con le iniziative di Coordown. Dal 17 febbraio su Raitre, ogni lunedì in seconda serata va in onda Hotel 6 stelle  , una serie di sei puntate in cui sei ragazzi dell’associazione italiana persone down (Aipd) fanno uno stage in un albergo e si cimentano con i lavori tipici delle strutture ricettive.
E anche se Luciana Litizzetto, dal palco di Sanremo, al termine di un monologo sulla bellezza aveva sfidato i grandi marchi ad utilizzare persone con sindrome di Down per le loro pubblicità (come scrisse Antonio Giuseppe Malafarina su Invisibili)  l’idea non era nuovissima, visto che molte aziende, nel mondo, lo avevano già fatto.
Quando Claudio Arrigoni trattò l’argomento in un post sull’utilizzo di persone disabili nella pubblicità, raccontando i casi di grandi firme che avevano inserito questi bambini nei loro spot, sul nostro blog arrivarono commenti contrastanti. Chi applaudiva queste iniziative, chi le criticava dicendo che servono solo a mettere a posto la coscienza. Ci fu un padre che scrisse: “… sono contentissimo che ci sia la possibilità per questi bambini di mostrarsi come tutti i loro coetanei. Ma per giudicare se si sia veramente formata una cultura a favore dei soggetti diversamente abili si devono guardare altre cose”.
Sacrosanto. Chi vive ogni giorno questa condizione sulla propria pelle non si accontenta degli spot in tv o dei filmati su internet. Resta il fatto, però, che il primo passo per vincere battaglie come questa si fa con la sensibilizzazione. E che se la gente si abitua a vedere in televisione persone che fino a trent’anni fa venivano tenute, per vergogna, dentro casa, questo non può che essere un fatto positivo.
  Gli addetti ai lavori parlano di paradosso. “Questi ragazzi hanno una marcia in più, conquistano perché sono spontanei e simpatici – riflette il portavoce di Coordown – ma quello del povero tenero bambino down è proprio lo stereotipo che vogliamo superare. Oltre ad essere diversi da noi, infatti, loro sono anche diversi tra loro. Ognuno con la sua personalità, il suo carattere. E se quest’anno abbiamo scelto di far parlare otto ragazzi di nazionalità diverse è proprio per rimarcare questo concetto e per far risaltare la diversità”.
Al pubblicitario chiedo invece quale sia quello che in gergo tecnico si chiama l’insight della campagna, ovvero quali bisogni e aspettative del pubblico vada ad intercettare. E provo così ad arrivare, insieme a lui, alla risposta alla domanda iniziale, quella su quale sia il messaggio profondo di questi filmati e su quali corde dell’animo vadano a toccare. “La campagna ‘Dear future mom’ parla soprattutto ai genitori – spiega il creativo di Saatchi& Saatchi, diventato anche lui papà da poco -  a tutte quelle persone che hanno vissuto l’esperienza della paternità e della maternità”.
Sono d’accordo con lui, in fondo chiunque abbia avuto un figlio è stato travolto da quell’evento, ha vissuto momenti felici e momenti difficili, ha avuto le sue insicurezze e le sue soddisfazioni, ha dovuto fare i suoi sacrifici.  Chiaro, per le famiglie in cui sia presente la sindrome di Down la strada è decisamente più in salita, gli ostacoli sono mille volte più alti. Ma forse, proprio per questo, quando è uno di loro ad essere felice, a trovare lavoro o a recitare in uno spot televisivo, anche la gioia dei suoi genitori è mille volte più grande. O sbaglio?

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